Il 21 novembre, Barack Obama ha fatto ciò che prometteva di fare dalla campagna elettorale del 2008 ma di cui finora si era scordato. Ha messo mano alla legge sull’immigrazione, cancellando per milioni di non-statunitensi il reato d’ingresso clandestino nel Paese. Si calcola che a beneficiare dell’“ordine esecutivo” della Casa Bianca saranno circa 5 milioni di ex clandestini. Una folla. Piccola se si pensa che le statistiche ufficiali valutano in più di 11 milioni gl’immigrati clandestini negli Stati Uniti (il che secondo molti significa che la cifra non è distante dai 20 milioni), ma in realtà enorme. Con questa decisione, Obama sottrae dunque almeno 5 milioni di nuovo arrivati al rimpatrio previsto dalla legge federale statunitense, garantendo loro permesso di soggiorno e lavoro. A godere della decisione di Obama saranno gl’irregolari che da più di 5 anni vivono negli Stati Uniti, oppure che sono genitori di un figlio o nato negli Stati Uniti o titolare di un permesso di soggiorno permanente. Costoro potranno dunque chiedere un permesso di lavoro di tre anni, a patto che la loro fedina penale sia pulita.
Sembra una bella cosa, ma la realtà è diversa. Il punto, infatti, è che i posti di lavoro triennali a cui questa folla di regolarizzati ha da ora diritto per decreto non si creano affatto per decreto. I 5 milioni di ex irregolari saranno cioè regolarizzati perché potranno domandare un lavoro, ma se il lavoro non lo troveranno anche dopo averlo regolarmente richiesto in qualità d’immigrati diciamo regolari cosa succederà? Succederà quel che succede a tutti gli altri cittadini regolari statunitensi che non hanno un lavoro: peseranno sulla macchina pubblica, cioè sul portafogli dei cittadini regolari americani che un lavoro ce l’hanno e che per ciò pagano le tasse. Visto l’andazzo dell’economia statunitense (che muove solo timidissimi passi di ripresa), vista l’imperante crisi economica generale e vista soprattutto la facilmente prevedibile assenza di qualsiasi tipo di specializzazione professionale di quei 5 milioni di ex irregolari (altro che specializzazione, spesso manca proprio l’abc del lavoro, molte volte quegli ex immigrati nemmeno parlano o capiscono l’inglese…), è facilissimo prevedere che il “grande gesto” di Obama diventerà prestissimo una ennesima piaga sociale…
La carità è un virtù umana e cristiana, ma non la si può imporre ai cittadini con la legge. Esasperare le situazioni con il facile buonismo oggi per poi accusare domani di grettezza e di cattiveria chi guarderà male quelle migliaia se non quei milioni di statunitensi improvvisati e dalla cittadinanza precaria perché non lavorano o perché lavorano male, oppure perché suggono i sussidi statali o perché disperati delinquono è da cinici incalliti.
C’è poi da calcolare che già ora, oppure presto, gli ex irregolari messi “a posto” da Obama che dovessero trovare davvero il famoso contratto di lavoro triennale, rinnovabile, dovranno a un certo punto pure godere di mutua. Quella cosa famosa, cioè, che la riforma voluta dalla Casa Bianca (il cosiddetto “Obamacare”), ha imposto a costi alti ai cittadini statunitensi già oberati dalle tasse e ai loro datori di lavoro, molti dei quali così, soprattutto tra quelli cosiddetti “medi”, sono stati spinti vicinissimi alla soglia della chiusura. Vale a dire a una cura peggiore della malattia: invece che la sanità per molti, si è imposta una sanità per tutti che esiste esclusivamente a parole e che in realtà è solo meno lavoro (e quindi meno sanità) per tanti. Se questa è la strada, presto il colpo di mano di Obama produrrà più disoccupati, disoccupati nuovi, meno business attivo e molti meno diritti per tutti, per alcuni anzi nulla.
La cosa ricorda tanto (e adesso sto per scrivere parole che ad alcuni faranno accapponare la pelle, ma basta studiare un po’ di storia) quel che negli Stati Uniti successo il 1° gennaio 1863. Da quel giorno ebbe vigore di legge il famoso Decreto di emancipazione degli schiavi neri firmato obtorto collo dall’allora presidente federale Abraham Lincoln (1809-1865) per accontentare non tutto ma l’ala più radicale e rissosa del suo partito, il Partito Repubblicano. Quanti schiavi neri furono liberati quel giorno? Nessuno. Perché ovviamente il proclama era legge negli Stati Uniti, che non avevano schiavi, ma non così in quei territori separati che avevano dato vita agli Stati Confederati d’America. Fu una mossa strategica e propagandistica straordinaria, certo: ma non liberò uno schiavo che fosse uno. Fu solo una mossa strategica e propagandistica, perché il proclama giunse dopo mesi e mesi di sanguinosa guerra fra Confederati e “nordisti” (se quello fosse stato il vero motivo della guerra, la prima cosa che Lincoln avrebbe fatto in concomitanza della prima schioppettata sarebbe stato proclamare l’emancipazione dei neri) e a lungo termine produsse, dopo la Guerra cosiddetta civile (1861-1865), un risultato odioso: la schiavitù era finita, ma a lavorare nelle grandi fabbriche delle città del Nord i neri non li voleva nessuno. Liberi a parole, ma nuovi servi nei fatti. Epperò a un secolo e mezzo di distanza ancora ci spelliamo tutti le mani per quel proclama di emancipazione che non liberò nemmeno uno schiavo…
Ecco, i Repubblicani statunitensi che si oppongo a Obama dovrebbero adesso ripassare bene la storia del loro partito e costringere Obama a gettare la maschera, studiando alternative diverse sull’immigrazione che non puniscano la povera gente ma nemmeno i cittadini statunitensi, che favoriscano l’esercizio libero e virtuoso della carità ma che non si sognino di farne una nuova, onerosa tassa di Stato.
Post scriptum. Perché Obama il suo colpo di mano sull’immigrazione, lo ha attuato dopo le elezioni di medio termine del 4 novembre, perse rovinosamente dal suo partito? Perché gli statunitensi non sono stupidi; sanno come andrà ancora una volta a finire se all’ideologismo obamiano non si porrà un freno, e se Obama avesse agito prima, nelle urne i gli americani avrebbero punito il Partito Democratico più di quanto già hanno fatto. Riformando l’immigrazione dopo il voto, Obama può però dire mentendo di avere mantenuto un’antica promessa e cercare di ri-conquistare ai Democratici quei latinos che il 4 novembre scorso (dopo averlo sostenuto nel 2008) gli hanno voltato le spalle.
Marco Respinti